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Undicesimo classificato

Michele De Luca

Lavorando da anni sul linguaggio dell’astrazione lirica imperniata sull’analisi della luce e della sua materializzazione-smaterializzazione pittorica, ho ideato due grandi pannelli verticali caratterizzati da un flusso luminescente che dall’alto scende verso lo spettatore, come per invadere i sottostanti Uffici della Comunità Montana Grand Combin. Ho cercato di integrare quest’energia luminosa virtuale e pittorica, soffusa da colorazioni fredde giallognole e verdastre, alla luce reale che piove dalle vetrate sulle scale e l’ambiente.

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Bozzetto dell'opera proposta da Michele De Luca Dettaglio Nei due pannelli la luce da dipinta si fa reale negli abbagli e riflessi creati dalle lamiere di metallo che formano la parte inferiore delle opere proposte.
I tagli geometrici della lamiera inchiodata al supporto 1igneo dei quadri vogliono evocare i pendii delle vostre montagne, e le valli in fondo ad esse; montagne e valli che creano quegli effetti visivi ed emozionali, dinamici e luminosi, ai quali mi sono ispirato per quest’opera per la vostra Comunità Montana.
Il colore sarà ad olio sul supporto ligneo (lisciato ma non preparato a colore) in modo da far trasparire i disegni naturali della trama eccetto che nelle zone in cui il colore avrà una consistenza materica superiore.
In identica maniera il colore sarà steso sulle lastre di alluminio (per far risultare una continuità stilistica e gestuale fra i due elementi) dove però verrà fissato cm vernice finale fissativa opaca, usata oltre che come fissativo per le particelle di colore magro, in funzione puramente pittorica.

 

Cenni biografici

Michele De Luca vive e lavora a Roma.
Diplomato in scenografia all’Accademia di Belle Arti di Firenze (dove attualmente insegna).
Dopo esperienze teatrali, letterarie e musicali lavora come aiuto e scenografo in teatro, televisione e cinema, firmando in particolare le scene dei film di Luigi Faccini Inganni, 1985 (sul poeta Dino Campana) e Donna d’ombra, 1988, presentati e premiati a festival internazionali in tutto il mondo; e in teatro degli spettacoli di Roberto Lerici e Antonio Salines Memorie di un pazzo, da Gogol, 1983, Il boudoir del Marchese De Sade, di R. Larici, 1984, Il supermaschio, di A. Jarry, 1985, Delitto all’isola delle capre, di U. Betti, 1992.
"Fin dagli inizi manifesta una personalità accentualamente espressiva e istintuale che nella seconda metà degli anni Settanta determina l’evento pittorico in soluzioni materiche di consistenza fisica" (E. Crispolti, "Tempo presente", n. 197-198, maggio1997) attraverso paesaggi, figure, ritratti di chiara matrice espressionista in cui il colore si addensa in grumi densi e pastosi.
Trasferitosi a Roma nei primi anni Ottanta, la sua ricerca pittorica è caratterizzala da un gestualismo segnico che richiama l’Action Painting, il Tachisme o il Nuclearismo, culminante col grande dipinto realizzato in pubblico La grande massa inquieta, Pitelli, 1984, o caricando ulteriormente l’immagine di tensione psicologica attraverso una reiterazione gestuale ossessiva, sottolineata da toni intensi e cupi (ciclo degli Ossessi, 1984-86) e facendo ampio uso di bitume e di materiali di recupero, come nell’installazione Non fiori ma Opere di, Sarzana, 1985. A quell’anno risale la sua prima collettiva (Kaos, dall’Alfa all’Omega, Museo Casablanca, Malo, Vicenza). Nel 1986 a Roma entra in contatto con i collezionisti e galleristi Ennio Borzi e Mirella Chiesa che nel 1987, nella galleria Break Club, curano la sua prima personale romana presentata da Paolo Balmas.
Partecipa a rassegne sulla giovane pittura italiana. Numerose le personali e collettive in Italia e all’estero.
Seguono particolarmente l’evolversi del suo lavoro i critici Enrico Crispolti, Enzo Cirone, Manuela Crescentini, Anna Imponente. In parallelo sviluppa una originale produzione poetica intimamente legata alle tematiche visive; sue poesie sono pubblicate su riviste e antologie di letteratura italiana. Partecipa a mostre di libri d’artista e poesia visiva.
"La sua ricerca mette quindi a fuoco il proprio espressionismo autarchico inserendo, a cavallo tra anni Ottanta e Novanta, brani geometrici di lamiera inchiodata e dipinta, dove il nuovo ritmo cromatico-formale alleggerisce, col blu ad olio, il nano vinoso finora occludente. Il lavoro, implicitamente sempre riferito alla luce, si dichiara nel proprio intento nel ciclo Taratura della luce, che, dall’esordio dei Novanta caratterizza un filone di ricerca tuttora in attoquot; (E. Crispolti, op. citata).

Per approfondimenti si consulti il sito della collezione Borroni.

(Testo estratto dalla documentazione di progetto).